La prima rivoluzione femminista
Erano 3 ma nel canto sembravano 3000. Il loro sguardo portava il ricordo di chi non aveva fatto in tempo ad urlare, e tra le mani stringevano pergamene fittamente decorate con i loro nomi e quelli di coloro che si aggiungevano a loro.
Quando la notte calpestavano la città non accendevano fari, né torce, bisbigliando tra i denti le Atrocità. Al varcare la soglia delle porte in legno della città erano nude: i loro corpi scintillavano sotto la luce della luna ed i loro capelli somigliavano a grovigli di lana polverosa.
Lo sguardo spento e gli occhi fermi; neanche il vento osava passarle accanto. Sulla loro pelle ombre parlanti, i loro visi si illuminavano al pensiero delle carezze violente sopportate e ad ogni passo se ne aggiungevano altre, dipingendo sulla loro carne il marchio delle Atrocità.
Nel tragitto, infinite mani invisibili evaporavano dalle case, curando, vestendo e pettinando le tre donne al pari di tre dee, cosicché potessero arrivare davanti all’imponente palazzo come immortali.
I bisbigli si interrompevano e si espandeva nell’aria intorno a loro una nebbia rossastra, che saliva dal terreno umido. Distendevano la pergamena lungo le scale della reggia come redini, e mentre le loro bocche erano serrate, canti vaporosi parevano raggiungerle da ogni lato.
Il continente intero si sarebbe destato, se non fossero canti che immobilizzavano dalla prima sillaba. La luna splendeva, i loro corpi erano adesso nuovamente spogli, le vesti cadute via, sbriciolate in sottili lamine di oro, mortali come spine. I loro capelli vibravano, sollevandosi a ritmo dei canti febbrili che aleggiavano intorno a loro, e la luce del cielo che vi filtrava attraverso donava un ombra verde sui seni.

Con le prime luci dell’alba le tre venivano sollevate dai canti soavi insieme alla nebbia, ballando fino a consumarsi nella terra, che poi risplendeva di fiori.
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